CHI HA PAURA DELLA NERA SIGNORA? | le meditazioni sulla morte e il risveglio vitale ...

"Memento mori" 

- sussurra l'artefice in abito nero -

"Lascia gli onori 

e cerca nel buio scintille del Vero."

VBM

Scan 2

Bisogna aguzzare la vista per vedere il teschio del numero (XIII)
tra la Forza (XI) e la Ruota (X) e la Temperanza (XIV)
nell'Arcano al nero inciso nella carta dall'artista torinese Maura Banfo.
Nel buio appare, ad un certo punto, una lettura possibile.


“La meditazione della morte è alternativa alla rimozione della morte”, scrive Claudio Widmann a proposito dell’arcano numero XIII. E' un percorso di consapevolezza utile a tutti, in questa 

società della Necrocultura,

che è anche il titolo di un interessante piccolo saggio di Fabio GiovanniniEstetica e culture della morte nell’immaginario di massa - edito da Castelvecchi nel 1998).


Fotografie con i cari estinti - epoca vittoriana 

"Questo percorso di consapevolezza va in direzione esattamente contraria rispetto ai tentativi di rendere il corpo immortale, imputrescibile, eternamente giovane” (C.W. p.268)

Rimuovere la morte oscilla tra fascinazione della stessa e rifiuto. Se non puoi batterla, unisciti a lei, sembra pensare questa società del macabro patinato. Della violenza come sistema. Della fine globale annunciata.

Dei video pornografici dell'Isis, snuff films in cui la Morte recita nuda e diventa star mediatica.

E’ possibile una via diversa per fare i conti con lei?

La Morte, o troppo esposta, o troppo poco. Mai accolta con la naturalezza di uno stupore, di una meraviglia quotidiana.

Risvegliarsi ogni mattina e gioire per la vita ben sapendo che la stessa non è eterna.

Thauma è la meraviglia, è lo stupore di fronte al mondo che ci circonda con tutte le sue terribili cose, ed è anche, appunto, così come sottolinea Emanuele Severino, il terrore: secondo Aristotele nell’uomo antico è da Thauma che nasce la ricerca filosofica, il tentativo dell’essere umano di dare un senso alla vita e, soprattutto, alla morte.

Ogni giorno andiamo a braccetto con “nostra sorella Morte”, come magistralmente, nella semplicità della sua realtà, la definì Francesco d’Assisi. Ognuno con il proprio personale assassino, in compagnia dell’oscuro falciatore, ci svegliamo ogni mattina e dovremmo, appunto, ringraziare di poter continuare la nostra opera alchemica e individuativa, un percorso che è sempre in fieri... finché Morte non ci separi dalla terra e alla terra ci riporti.

Nell’arcano numero XIII dei tarocchi marsigliesi La Morte non ha nome, forse perché di volta in volta assume il nome di ognuno di noi? 

A livello psichico, l’Io può fare i conti con la propria trasformazione, può accogliere il cambiamento lungo la strada verso il centro della personalità totale. Ma, prima o poi, la psiche deve fare i conti anche con la morte concreta (e con-creata): quella delle persone e quella personale. L’Io deve abbandonare se stesso. Ogni giorno dunque ci prepariamo a questo passaggio finale, una strada che può durare anche diversi decenni, com'è noto e com'è, ovviamente, auspicabile.

Sul tema della morte del terapeuta trovo che il romanzo La cura Schopenhauer di Irving Yalom (ed. Neri Pozza - è la storia di uno psicoterapeuta che scopre di avere un melanoma e un anno di vita davanti a sè... ) riesca a mettere perfettamente in luce il fatto che, spesso e volentieri, i terapeuti di qualunque formazione riescono a difendersi molto bene dalla realtà concreta della morte, evento che resta inconoscibile e tale resterà, al di là di tutte le ipotesi di lavoro, a meno che essi non operino per un’apertura congiunta di tutti i piani, non solo di quello simbolico, poiché la tanto ricercata elevazione dalla materia può diventare una difesa notevole dalla vita stessa. La simbolizzazione può essere altrettanto difensiva della materializzazione.

Ma chi riesce davvero ad accogliere il senso ultimo della sua stessa vita contemplando anche il puro e semplice diventare terra e vermi fino a dissolversi completamente in una realtà altra, nella quale l'Io non avrà più voce in capitolo? Avendo paura di riconoscere come un gemello sempre presente il nostro personale assassino ci spaventiamo per ogni malattia e naturalmente vogliamo evitare la sofferenza. Temiamo il piano delle cose nude e crude, il livello terra. Oppure lo ignoriamo. D’altronde il momento è sempre sbagliato: prima siamo piccoli, poi giovani, poi abbiamo un sacco di cose da fare come adulti e poi ci stiamo godendo la pensione.

Coloro che si immergono con tutta l'anima nel proprio percorso di psicoterapia del profondo a volte scoprono significati del tutto imprevisti. Spesso, il tesoro emerge proprio dopo aver affrontato con coraggio la paura della propria "fine". Ad esempio, io stessa, nota ipocondriaca, ogni giorno penso alla morte e riemergo ancora più vivace.

Per alcune persone, invece, un lutto può essere proprio l'occasione per rimettere in discussione se stessi e cambiare la propria visuale sulle cose, sulla vita. Bisogna saper aspettare e stare nella sofferenza che tutto questo "nero" comporta per vedere la luce tenue, flebile, di un nuovo inizio.

Non è un caso che negli arcani maggiori la carta dell'Appeso (XII) venga prima dell'Arcano Senza Nome. O meglio, qui il caso si sposa con l'occasione (vedi il più volte citato Claudio Widmann, Gli arcani della vita, edizioni Magi).
La nera signora rivela il suo stesso essere breccia verso la luce, occasione propizia, favorevole per un passaggio fondamentale ad un nuovo livello, sensibilmente più creativo, nel mondo della psiche e in quello delle azioni concrete.

Valeria Bianchi Mian

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